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18 | novella xi. |
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XI.
Il Ladro che per rubare perde il suo.
Non riuscì il suo disegno ad un altro ladro, come
andò ad effetto la sua intenzione a quello delle chicchere.
Un giorno di questo mese in Calle larga a S.
Lorenzo fu picchiato ad un uscio. Affacciasi una
signora dalla finestra, e vedendo un uomo con un
canestretto di erbe, chiede: Chi vi ha mandato? Rispose:
Mandami l’erbolajo mio padrone; io non so
poi chi abbia commesso a lui che vi mandi quest’erbe.
Al nome sia del Cielo, disse la signora, venite;
e apre. L’uomo sale la scala, lascia il canestro,
torna giù e chiude l’uscio con romore; ma non esce,
anzi in iscambio di nuovo fa la scala, ed entrato in
una picciola stanza, appiattasi sotto ad un letto. Di
là a poco giunge una signora amica delle padrone,
le quali l’accolgono appunto nella stanza ov’era appiattato
il ladro: fanno cerchio, ragionano; entra un
cagnuolino, gira attorno al letto; ma senza abbajare
fa attucci, ringhia, arriccia il pelo: le signore lo
chiamano, lo sgridano, ed egli pur saldo. Mentre
ch’esse giudicano ch’egli vegga qualche gatto, il ladro
che forse stava a disagio, allunga un pochetto la mano,
e tutte la veggono. Pensi ognuno quello che fu delle
povere signore e qual animo ebbero tutte: la voce
si chiuse loro in gola; uscirono tutte della stanza più
che di fretta. Ma la furia del ladro fu maggiore,
perchè sbucato di là come una folgore, fu in istrada
prima ch’esse avessero aperte le finestre e chiamato
soccorso. Di là ad un’ora picchia un altro e chiede
il canestro, dicendo che il compagno suo avea sbagliato
la casa. Le signore gli fanno buon viso e l’invitano
a salire e a prendere il canestro. La soverchia
cortesia diede indicio che la trama non era riuscita;
ond’egli, senz’altro dire, si partì dall’uscio e lasciò
le signore sconsolate, chè aveano forse intenzione
di pagar lui anche di quello che doveano al suo
compagno.