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novella xii. | 19 |
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XII.
Il Gabbamondo, o sia Meglio è fringuello in man, che in frasca tordo.
Non sono ancora molte settimane passate, che
venne in Vinegia un uomo, il quale coll’andar vestito
riccamente, con lo spendere largo e con l’avere
in bocca i nomi de’ gran signori e de’ principi, avea
sempre, dovunque andava, un cerchio di persone
intorno che l’ascoltavano attoniti come s’egli fosse
caduto dal cielo. E senza punto pensare dond’egli
traesse i danari che continuamente spendea, immaginando
ch’egli avesse nel paese suo grandissime
rendite, ognuno vivea per fede, nè ad altro pensava
che ad esaltare i tesori suoi, affermando che lettere
di cambio gli piovevano ogni dì come se l’avesse
vedute e lette. Quando alcuno lo visitava in sua
casa, spesso si udia a picchiare, e gli venivano presentate
lettere le quali dicea venirgli ora da tal
principe, ora da ministro tale e forse da tal re, ed
empieva gli orecchi e il cervello di tutti di signorie,
di corti, di regni e d’imperj, tanto che uscivano di
là mezzo ubbriachi e balordi fra le grandezze. A
questo modo acquistò egli la conoscenza e a poco a
poco l’intrinsichezza fra gli altri di forse dieci persone
le quali facendo professione di lettere, col
lungo ammaestrare la gioventù aveano fatto civanza
di alcuni pochi quattrini ch’erano stimati da loro
un picciolo premio a’ lunghi stenti che fatti aveano,
e alle buone arti da loro molti anni professate. Per
la qual cosa lagnandosi essi sovente al forestiere, e
mostrando egli dal suo lato compassione dello stato
loro, dicea quasi con le lagrime agli occhi: Oh secolo
veramente di ferro e di bujo, in cui la verace
virtù ed il sapere se ne vanno abbandonati e raminghi
per la terra! Ora meriterebbero così fatti
uomini, quali voi siete, sì scarsa fortuna, se voi nati
foste a’ tempi di Augusto o di Lione X? Oh tempi