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novella xviii. | 29 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:39|3|0]]ma vengo ad avvisarla che può dormire due ore ancora comodamente, perchè appunto sono sonate in questo momento le dieci. Gli dico un dì che mi svegli all’alba, entra in camera con la candela accesa; apre la finestra; gli domando Spunta l’alba? Ora me ne accerterò, risponde; e mette fuori del balcone il viso e guarda; poi dice: Ancora è bujo: piglia la candela e guarda verso levante, per vedere con più diligenza. Innumerabili sono le volte che scalzandomi la sera, mentre ch’io andava a letto, si addormentava, trattami la prima calza sola: e infinite quelle che si presentava alla compagnia per versare il caffè sulla guantiera senza le chicchere. Finalmente giungendo io a casa poche sere fa e picchiando, me lo vidi a comparire innanzi tutto scorticato e insanguinato la faccia; domando: Che è stato? egli tace e brontola, e mi vien detto che, picchiando io, abbajando il cane di casa e chiamandolo gli altri servi, si levò, accese la torcia e si mosse con tanta furia che non accortosi di una porta di lastre serrata, ma parendogli le lastre aria, v’infilzò dentro la lesta e si conciò a quel modo. Per non vedere altri spettacoli gli diedi licenza. Per altro a chiunque lo volesse, fo una pubblica fede ch’egli è puntuale, che mai non risponde, e che dal risico in fuori di scavezzarsi un dì il collo o di rovinare in qualche altra forma sè medesimo, non ha altri difetti.»
XVIII.
Maniera con cui fu convertito un ricco crudele verso i suoi simili.
Parvemi un caso notabile e degno di essere udito quello che giovedì passato avvenne in una casa, della quale non dirò la contrada, nè il nome di chi vi abita dentro. Il padrone di quella, uomo ricchissimo per lascio di suo padre (che facea un mestiere meccanico e risparmiava), credendosi che