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NOVELLA XXXII. 57

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Novellette e racconti.djvu{{padleft:67|3|0]]trovo costà puntuale. Dice la donna. Posatevi con l’animo quieto; io vi do parola di essere all’uscio appunto allo scoccare dell’ora che desiderate: buona notte. Entra il giovane nella sua stanza, e facendo il caldo grande, si spoglia in fretta, e come quegli che non usa molta diligenza nel riporre le robe sue, qua si scalza e lascia le calze, colà gitta il vestito, da una parte si sbraca e lascia i calzoni; spegne il lume, va tra le lenzuola, e trattasi la camicia, la lancia lunge da sè fuori del letto, e così nudo, come nato era, comincia a dormire. Passano intanto le ore, e la buona donna si desta qualche minuto più tardi di quello ch’era stato ordinato; onde in fretta e in furia corre all’uscio, e picchiando con una forza che parea che lo volesse atterrare, grida: Su su, egli è tardi. Il giovane si desta, e con gli occhi ancora mezzo chiusi balza in piè e comincia a brancolare cercando della camicia, e non la trova. La maraviglia lo fa destare affatto; il dì era entrato per le fessure delle finestre, onde vi si vedea benissimo: cerca di qua, rifrusta di là, non ci è verso, la camicia è sparita. Eravi nella stanza, come si usa ancora in certi tinelli all’antica o ne’ conventi, un lavatojo con una conca di pietra molto ben grande, dove si lavano le mani, che per avventura era piena di acqua: si affaccia colà e vedevi la camicia che lanciata da lui al bujo, vi si era annegata dentro, piena come una spugna. Oimè! oh che farò io ora? gridava egli; e la femmina all’uscio gridava: Che avete voi? aprite se volete ch’io vi ajuti: siete voi ancora vestito? Ora comincio, rispondeva egli arrabbiato come un cane: aspetta. Mettesi i calzoni e apre l’ascio con la camicia in mano, che colava acqua e avea fatto in terra più rigagnoli come una gran pioggia. Ch’è stato? dice la donna. Tu lo vedi, risponde; la camicia mia è stata in molle: che farò? di qua alla casa di mia sorella è un trotto di lupo: qui non ho camicie; questa esce ora della mastella; debbo comparire al magistrato: che farò io? che maladetta sia la ventura mia! e in questo, ecco

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