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Milano, agosto del ’94.


Vedo che sfortunatamente questi miei colloquii vanno perdendo la poesia del luogo: dai verdi fiumi e dalle azzurre montagne della valle vicentina son venuto a cadere qui tra il caldo estivo e i costumi cittadineschi. Così spesso per appagare la memoria mia, mentre parlo coi miei interlocutori, cerco — se li amo — di figurarmeli in un paese capace di loro, fuori dai velluti del caffè Savini o dal giardinetto posticcio del Cova.

E appunto al Cova ho parlato col Verga, e io pensavo a un bel paesaggio siciliano un po’ selvaggio adatto alla Cavalleria rusticana o alla Lupa; e invece i camerieri attorno mormoravano con pronte moine la minuta del pranzo e un’orche-

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