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Scrivere a te, così, con queste parole, dalla mia piccola scrivania, nella mia stanza dove tu sei penetrato quasi a forza l’altro giorno con la scusa di vedere i miei ritratti di collegio, mi pare un sogno. Mi guardo attorno. L’aspetto di tutte queste cose tra le quali ho vissuto sempre sola – tu sai quanto sola! – per anni, è mutato. Fino a stamane io venivo a rifugiarmi qui contro tutti: anche contro te, quando avevo paura di te, venivo a rifugiarmi qui, tremando. E anche di giorno, chiudevo le imposte e le cortine, accendevo la mia lampadina velata di rosa, mi immaginavo che fosse notte per sentirmi più sola, e mi raggomitolavo nella mia poltrona, selvaggia come una bestiola nella sua piccola tana. Adesso, da quattro ore, il mio rifugio non è più qui, è da te, nella stanza nostra, fra le braccia tue, Paolo mio, core mio, amante mio... Ho scritto la grande parola: amante mio! Mi par quasi un eroismo riescirla a scrivere francamente, senza paura: amante, amante mio! Adesso qui, fra i miei mobili, fra i miei gingilli, fra i miei fiori, fra i miei cuscini sono come in esilio. Tutto è vuoto, è senz’anima. Solo dove sei tu, core, è la vita.

E mi guardo sul braccio il segno rosso che mi hai fatto tu; e sento le labbra tue che schiacciano le

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