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L’imposta dell’armadio cigolò, e Oreste di tra il sonno affannoso per quella canicola chiese con voce gonfia:

— Che fai, Anna? Non vieni a letto? Ed ella rinchiuse in fretta l’armadio e si gittò sul letto monumentale, facendo stridere tutte le foglie di formentone chiuse nell’alto pagliericcio. E il romore di quelle foglie secche insistè ancora a tratti, come per brividi. Poi tutto tornò quieto nell’afa. Ella guardò Oreste dalle cui gote gialle gocce di sudore scendevano sul guanciale lente, lente, e giacque supina pensando e fissando i travicelli dipinti in turchino sopra il soffitto bianco. Quelle tre o quattro stanze che poche opere di muratore e di imbianchino avevano adattate alla villeggiatura del notaio Oreste Santi e di sua moglie, erano nell’ultima ala della casa colonica. Il villino più lindo e più comodo era lontano duecento metri ed era stato affittato al forestiero. Gli altri anni essi stessi vi abitavano, ma l’avarizia del notaio aveva avuto questa inspirazione per raggranellar due o tre centinaia di lire e non l’aveva abbandonata. In fondo quelle quattro stanze bastavano agli sposi e, se non fosse stato il caldo maggiore per le imposte mal connesse, l’odor

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