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stendeva una fila sterminata di spazzole, e spazzolini legati in argento, in avorio, in tartaruga, e qua e là altrettanti utensili diversi dall’uso ignoto, tutti lucenti e nuovissimi.

— E tutte queste cose? — Servono per pettinarsi, acconciarsi, vestirsi. — E quella camicia gialla tutta aperta? — Oh, bella! È la mia camicia da notte in toile d’araignée. E le domande di Anna erano infinite. Ma ella temette di aver mostrato troppo chiaramente la sua ignoranza e si tacque pur girando gli occhi stupiti di qua e di là. Bianca aprì un astuccetto d’argento che conteneva quattro lapis, due rossi e due neri, ne prese uno nero delicatamente con gesto esperto: — Avvicinati. — Che fai? — Ti tingo le ciglia. — Ma no. Lascia fare, lascia fare. Qui è inutile... non si usa. Oreste... — Chi è Oreste? — È mio marito. Oreste mi sgriderebbe. — Tanto meglio. Ma va là! Gli piacerai di più. E con molto garbo Bianca passò la matita sotto le palpebre di Anna, poi la fece lavare, e le presentò

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