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A giugno tornò Luigino, e a casa con tanta maestà parlò di certe radici neolatine e di certi processi ideologici e con tanto disdegno guardò al desco famigliare e al gatto bianco e al morigelso del cortile che i suoi gli permisero di passare qualche giorno delle vacanze a Spoleto presso suo cugino Tommaso Paterni, notaio sonnolento in piazza del Mercato. In fondo in fondo essi speravano anche che la vista dei lauti guadagni e della poca fatica di quel cugino grassoccio e sbarbato ancóra potesse distoglierlo dal mestiere del poeta.
Ma più che le carte e le formule e i quattro codici e il berrettino amaranto e la poltrona del cugino Tommaso, fu la moglie di lui che eccitò le speranze di Luigino Degliastri. Tommaso aveva sposato da quattro anni una ragazza senza un soldo, attorniata da molti adoratori platonici, custodita prudentemente in un borgo di montagna da suo padre cacciatore emerito e, a tempo perso, anche medico condotto. Per quattro anni ella era vissuta contenta, ingrassando salutevolmente e godendosi tutta quell’abbondanza di cibo, di vini, di pollame, di biancheria che i risparmii e la professione del marito le offrivano lautamente. Poi, dopo che nell’estate erano apparse a Spoleto molte