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Trovò soltanto due amici che non avendo ancora letto il giornale lo ricevettero gratuitamente da lui con molte effusioni. Alle due e mezza cadde sul suo letto, esausto.

E la mattina dopo, a mezzodì, non avendo ricevuto lettere, mandate due righe di scusa al caposezione, partì per Foligno senza telegrafare nè a Giacinta nè ad Armenia. Arrivò alle quattro, dopo aver letto a tutto il vagone la corrispondenza nella Tribuna. Lasciò la sua valigetta alla stazione, si fece indicare in fondo a un viale di platani, subito di là dalla porta della città, l’Albergo della Posta, salì una scaletta ripida, domandò frenando la propria emozione: — A che numero è la signora Pancrazi? — Lì, al dieci. Ma è occupata. — Non fa niente, sono il marito, – e si slanciò e aprì la porta. Al primo istante credette d’essersi sbagliato, perchè in fondo al letto e sulla poltrona vide la giubba e i pantaloni neri e gialli d’un ufficiale di artiglieria. Un uomo si alzò sul letto: — Che vuoi? — Scusi, ho sbagliato!, – ma l’urlo di una donna zampillò da quello stesso letto nella penombra. —

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