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— Domani si parte per Aquila.
— Perchè? — domando io ingenuamente. — È un gennaio così sereno e tepido qui. Lauretta ci sta così bene, e anche io...
— Anche tu?
Io intravidi nei suoi occhi l’ostilità, ma lo stupore m’impedì di definirne la causa lì per lì. Tu rammenti quanto egli sia stato sempre onesto e galante con me.
— Ho già parlato anche con mammà. Domani si va ad Aquila.
— Con mammà? e perchè? Voglio sapere perchè.
— Tieni, – mi fece con mala grazia e mi gittò sul letto la lettera gualcita che teneva in mano, e se ne andò sbattendo malamente l’uscio.
Quanto mi offese, Teresa mia, quell’atto sgarbato e brutale! Tutta un’abitudine di gentilezza e di fiducia dopo otto anni era finita con quella villania momentanea, così come si spegne una fiamma con un soffio.
Io restai a guardar dal letto tristamente la porta chiusa (rammento che pel colpo violento era caduta la piccola chiave sul tappeto rosso), e mi misi a piangere piano piano: uno di quei pianti quieti che sembra non debbano finire mai. Solo dopo molti minuti rividi sul lenzuolo riverso il foglietto che egli aveva gittato.