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con le ginocchia, mentre sedevano accanto a tombola; la domanda incendiaria di Margherita «Proprio non sentite niente?»; la prima letterina già distrutta; le ricerche d’un luogo di convegno; le trenta lire mensili di pigione là in via Lombardia; il taglio di un abito di raso bianco che egli aveva preso da Bocconi per donarlo all’amante togliendo i denari dal libretto alla Cassa di Risparmio; l’anello d’argento dorato che ella gli aveva donato in ricambio. Lauretta si fece consegnare l’anello e il libretto dove confrontò la somma sottratta. Egli accasciato, sfinito, come se il sangue gli fosse uscito via con le parole, faceva un gesto estremo aprendo le due mani magre e tremule:

— Non c’è altro. T’ho detto tutto. Non c’è altro. La servetta bussò alla porta della camera da pranzo. — Faccio la tisana solita pel padrone? — No, non far niente stasera, – disse umilmente il marito vinto, e guardò la moglie come per significarle che egli sapeva tutta l’infamia sua e nemmeno si giudicava più degno della tisana serale. Dopo una pausa feroce, Lauretta che batteva con le due manine un tempo di musica sulla tavola guardando

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