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il permesso a sua moglie; alla fine d’ogni mese presentò tutto lo stipendio a lei appena osando chiederle quindici lire per sè; a tavola mangiò pochissimo, lasciando i migliori bocconi a sua moglie e indicandoglieli con cura petulante; la accompagnò a messa ogni festa restando genuflesso con compunzione profonda durante tutta la funzione; mai sgridò alla serva; mai più volle la tisana serale.

Lauretta il primo mese lo lasciò fare, come se non si accorgesse di lui e della sua devozione paurosa. Per due giorni lo vide a pranzo con una lente degli occhiali fessa. — Hai una lente rotta. — Sì, Lauretta mia. M’è caduta in ufficio. Non fa niente, sai, non fa niente. Ci vedo lo stesso. — Eccoti due lire. Vai dall’ottico a San Lorenzo in Lucina, e faccene mettere una nuova. — Non t’incomodare, Lauretta mia. Ci vedo lo stesso, te l’assicuro. — Non è per te; è per me. Non ti posso vedere con quella lente rotta; non ti vedo che un occhio. — Se è per piacere a te, Lauretta mia, ci vado súbito. Allora oggi esco alle due invece che alle due mezzo. —

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