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la solita punizione violenta. Ma lo schiaffo non venne, e Lauretta placidamente alzò gli occhi dal lavoro e si voltò con tanta grazia a guardarlo. Allora egli con lo sguardo annebbiato si chinò ancóra ancóra a baciarla, ed ella lo baciò; ed essendo il ricamo caduto per terra, non fu raccolto che alla sera, quando Gigi entrò pauroso ed umile nella stanza di Lauretta rosea sorridente e ormai sola.

Passarono altri due mesi, e si arrivò al luglio. Un pomeriggio Lauretta discinta sonnecchiava sul letto, quando udì una voce adirata chiamarla dalla stanza vicina: — Lauretta! Era la voce del marito? Le parve impossibile, tanto ella era ormai assuefatta a udirla monotona e sbiascicata come la voce d’una beghina. — Lauretta! — Che vuoi? Sei matto? Gigi entrò, a fronte alta, rosso, stendendole con una mano una carta: — Di chi è questa lettera? Lauretta capì, ma non si turbò e, senza nemmeno sollevare il capo dai cuscini, rispose: — Sarà di mio cugino. —

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