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folla sudata. Qualche donna, fuor dalla fila, supplicava cogli occhi lucidi e le mani tese: – Dammene una bottiglia a me, una sola.... – E l’uomo sul carro, serio e regale, gliela porgeva: – Tieni, vecchia! Abbasso gli affamatori!
All’angolo tra il Corso e via Guidi un altro manipolo aveva rotto le vetrine agli sporti della sartoria Maestrini, e lì il saccheggio correva più disordinato. Giù dagli scaffali e dai banchi le pezze di panno, di seta, di raso e i rotoli di nastri e di merletti erano stati gittati in mezzo al negozio, fin sulla strada, s’erano svolti e aggrovigliati e la folla v’incespicava frugando, tirando, liticando. In fondo, il proprietario alzava le braccia, gridava, invocava ajuto, protestava: – Io sono suddito svizzero. Ricorrerò al mio governo. – Maestrini svizzero? In quarant’anni chi l’aveva mai saputo? Nella lotta aveva perduta una manica della sua giacca di lustrina nera, e scandiva solenne i gesti con un braccio bianco e uno nero, come un semaforo. Un monello era salito, come su per una scala, da un piano all’altro d’uno scaffale e da lassù rovesciava rotoli, involti, scatole. Una, se ne capovolse grandinando bottoni sulla testa della folla e del padrone. E il monello in alto a ridere, come avesse lanciato coriandoli. Per le straducce vicine già s’incontravano donne e donnette in fuga con quel po’ di bottino che avevano potuto acciuffare: una ragazzina bionda e scalza si stringeva al petto un pacco di ricamucci a macchina, e ogni tanto sostava a guardarli come, fossero stati merletti di Venezia; due