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che dir si voglia, e la loro facilità, a patto d’essere lesti e sfacciati, e i profitti. Offrivano la loro esperienza ed audacia. Vedendo che tutti i negozii si chiudevano, s’era pensato di differire l’assalto ai giorni successivi; ma i più frettolosi ed astuti s’erano dati a spargere la voce che niente sarebbe accaduto, che la Camera del Lavoro aveva anzi condannato per selvaggi i fatti di Fiori. E i bottegaj, accorati di perdere il piccolo guadagno della giornata, avevano cominciato a riaprire, come ho detto. Allora piccole schiere dietro quattro o cinque capi s’erano divisa la città e dato convegno, nelle ore più calde e deserte, o fuori delle mura o in vicoli fuori mano. E alle quattro in punto avevano cominciato, ognuno nel suo raggio, a lavorare.
I carabinieri erano partiti per Fiori, le guardie comunali favorevoli o indifferenti, la truppa in quartiere, che il sottoprefetto poveruomo non l’avrebbe mossa senza un telegramma preciso da Roma; e magari, sul consiglio della moglie e delle figliole, avrebbe chiesto che, per prudenza, quel fiero telegramma glielo ribattessero parola per parola. Ore e ore, insomma, di libertà. Ma non avevano contato sul vino. Calcolando che i requisitori d’ogni età e sesso, avessero cominciato a bere vino borghese, cognac di pescicani, grappa di tiranni sulle quattro pomeridiane, alle otto e alle nove di sera eran tutti fracidi, a terra. A questo non avevano pensato nè il prefetto nè la Camera del Lavoro. Così quando alle 22 il