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di pensione, in attesa che Nestore avesse lasciato in pace Cencina o meglio Cencina avesse lasciato in pace Nestore.
Il peggio si era che mia moglie non la intendeva così. Non dico che ella andasse a diffondere per le piazze la lieta novella; ma insomma ne era lusingata. Un giorno, entrando nel salotto, la trovai che mostrava le famose lettere alla moglie del medico provinciale la quale, a dire la verità, ci si divertiva un mondo. Finsi di non accorgermene, ma uscendo dall’altra porta trovai nascoste dietro l’uscio la cuoca e un’altra nostra servetta che se ne stavano lì a braccetto, felici anch’esse di godersi la confidenza. Ma le cose, senza colpa mia, precipitarono. L’aprile scorso sotto Pasqua, in un giorno di relativa libertà (com’è noto, anche le malattie rispettano le feste comandate, e un medico ha la domenica di Pasqua o il giovedì grasso meno chiamate che nei giorni feriali) m’ero messo a ordinare le mie carte: ricette, note di letture, appunti d’ospedale, memorie di colleghi, e quelli opuscoli di pubblicità che annegano sotto la carta le case dei medici più modesti e più ignorati. E avendone fatti due grossi pacchi ben legati, salii in soffitta per deporveli insieme a molte altre carte e pacchi che vi ho accumulati da anni non so perchè o, più sinceramente, con l’illusione di rivederli negli ozii forzati della vecchiaja e d’estrarne chi sa quali tesori. E poi si muore, e gli eredi quelle carte le vendono a peso. La soffitta di questa nostra casetta è divisa