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di Stato o al capo di gabinetto o al segretario particolare, questi avrebbero súbito accontentato Nestore ferroviere e mandato via il cerimonioso Pasquarella, magari col pretesto d’una promozione. E tutti sarebbero stati felici. Purtroppo Nestore scelse un’altra via, diretta e sicura ma rumorosa ed ingiusta.

Nei quindici giorni della sua malattia legale, Nestore aveva passato alla Camera del Lavoro o in giro per le leghe dei dintorni la maggior parte del suo tempo, oggi portando ai contadini i fraterni giuramenti dei ferrovieri e domani ai cavatori di lignite la calda simpatia dei telegrafisti, tra gli stessi convinti applausi coi quali al Grand Hôtel nella colazione offerta dal ministro degli Esteri all’inviato straordinario della Patagonia o della Corea i convitati romani accolgono l’annuncio “dell’intima fraterna cordialità di rapporti tra quella repubblica e il regno d’Italia”. La sera dopo la partenza di lui mia moglie a pranzo mi confidò sottovoce che Nestore era sicuro del trasloco del suo presunto rivale. – Non ci mancherebbe altro, – risposi ma s’era alla stagione delle pere e Giacinta m’aveva dato quell’annuncio proprio alle frutta. Io adoro le frutta, e in ispecie le pere, e sopra tutto quelle dei peri di Poreta che io ho piantati dodici anni fa con le mie mani, facendoli venire, contro il parere di tutti gli xenofobi di mia conoscenza, da una grande ditta lombarda. Mi misi dunque a scegliere, sbucciare, tagliare, assaporare le due più belle

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