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Medico delle ferrovie me le sono godute. Dato che i viaggi dentro tanti chilometri il Governo me li regalava, non viaggiare era come mancargli di rispetto e rifiutare maleducatamente il suo dono tanto inatteso quanto immeritato. Per cominciare, andai a Roma.

V’era già Nestore da due giorni e venne gentilmente a ricevermi sul marciapiede davanti al treno, come chi dicesse sulla soglia di casa sua. Ma potei appena cominciare a ringraziarlo per quella prova di reverenza e d’affetto ch’egli s’involò verso un altro vagone. Mi raggiunse all’uscita, e non era più solo. Lo accompagnava un uomo alto, tutto giallo e nero, giallo di pelle e nero di pelo e di vesti, dall’aspetto cascante e funereo, il volto gonfio più che grasso, appeso a due zigomi alti. — È un amico russo, – m’avverti Nestore, sottovoce, e quando fummo sulla piazza io con la mia valigetta e il russo a mani vuote, aggiunse: – Per questa sera potrebbe dormire al tuo albergo. Non temere: ha il passaporto tedesco. Gli faranno tutti di cappello.

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