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A Roma 173

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— Sì, liberi.

— Naturalmente. Perchè non le fa tradurre o non le pubblica sull’Avanti!?

— Crede che le accetterebbero?

— Tragedie russe? Ma súbito.

— La ringrazio del consiglio. L’albergo è lontano?

Cominciava a strascicare i suoi enormi piedi a scialuppa, e non si voltava più alle donne. Giungemmo e, poichè io frequentavo quell’alberghetto da trenta e più anni, riuscii a trovare un buco anche pel mio russo che súbito offrì al padrone il suo passaporto tedesco giallocanario.


Un po’ prima delle otto Nestore ci venne a prendere per andare a pranzo alla trattoria della sora Giuditta che dopo le elezioni del novembre 1919 era diventata la trattoria preferita dei rossi; e fa quattrini quanti ne vuole. La sora Giuditta è la sola ostessa di Roma dove nella carestia più nera si può trovare tutto, salvo forse un tovagliolo pulito.

Romana, anzi trasteverina e cattolica, la sora Giuditta sa salvare le apparenze e mantenere al suo locale quell’aspetto popolare del litro slabbrato, delle ampolline senza tappo, del gatto che dorme sul bancone, della tovaglia macchiata di vino e di pomodoro, delle saliere che hanno per manico un ombrello cogli stuzzicadenti, della rete di spago sulla porta perchè le mosche entrino una per una, dell’odore di soffritto equamente diffuso in tutte e quattro le “sale„, delle

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