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sconsigliato dal presentare su questo caso un’interrogazione al ministro della Giustizia.
Egli sedeva tra due colleghi, uno giovane, biondo e femineo, coi baffetti che parevano lanugine, coi capelli di seta ondati folti ed alti sulla fronte, cogli occhi celesti e languidi: l’altro vecchio, calvo, pallido, ossuto, con la barbetta bianca a punta e due grandi occhi buoni, intelligenti e rassegnati, che talvolta restava assorto a guardare la parete davanti. Il giovane era quello delle freddure e adesso, ripreso animo, chiedeva al cameriere la lista delle vivande, “ma quella vera, non quella per gl’imbecilli, insomma la massimalista”. Pochi ridevano. Come prima la furia del russo, adesso il silenzio del vecchio gelava molti, e lo stesso Nestore che gli s’era seduto vicino e s’ostinava a parlargli sottovoce con ossequio, otteneva monosillabi di risposta. Ma altri lo guardavano di traverso, strizzando gli occhi e stringendo le labbra con l’aria d’essere stanchi di quel suo scontroso silenzio. Sentivo che in fondo sotto il clamore delle affermazioni generiche e degli applausi i più dei miei commensali vivevano in una diffidenza continua, e la mascheravano dandosi del tu fraternamente e moltiplicando strette di mano che erano un modo come un altro per esercitarsi a stringere i pugni. Uno, ad esempio, dopo aver constatato che ormai i tribunali non punivano con più di duecento lire di multa i ferrovieri quando questi si rifiutavano di trasportare nei loro treni soldati, carabinieri, guardie regie, sosteneva che bisognava