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tutto lustro e tutto nuovo che pareva fabbricato allora: baffi neri a punta scintillanti di brillantina, pelle abbronzata e ben rasa, fiamme amaranto al colletto, trofeo di galloni d’oro al berretto, stelle e galloni d’oro alle maniche, gambali e scarpe di cuojo giallo, nastrini d’ogni colore, azzurri, verdi, rossi, bianchi, viola, in tre file sul petto marziale, cuciti sopra tre liste di panno amaranto e tanto freschi di colore che assomigliavano a una scatola di colori all’acquarello, un dado accanto all’altro. Anzi così nuovo, lustro e multicolore, egli sembrava tutto dai piedi gialli alla chioma corvina, un campionario di bei colori, affascinante. Cencina lo guardò e sorrise tutta, quasi che guardando lui si fosse rimirata in uno specchio e trovata bella. Ma più m’importava il russo e m’accingevo ad iniziare, magari con l’ajuto legale del sindaco e del colonnello, un’inchiesta, quando lo stesso parrucchiere parlò, sottovoce, sporgendo verso noi, di là dal suo banco di vetro, la testa tonda, rosea e calva che pareva una palla di profumato sapone:
— Hanno veduto quel signore lungo che è uscito adesso? È un russo. Un mese fa era in Russia. Già tre volte è venuto in un anno. Sanno che viene a vendere? Capelli. Sì, signori, capelli. Capelli bellissimi, d’uomo e di donna, che in Russia anche i contadini hanno i capelli tanto lunghi da poterli vendere. Ma questi devono essere capelli di signori: io me ne intendo. E devo dire la verità: non sono cari. In confronto ai capelli di Cina che si trattavano