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a Nestore i connotati del suo compagno onorevole, e preoccupato volli che ci sedessimo fuori della porta così da vedere tutti quelli che uscivano da Montecitorio. I deputati lì avrei riconosciuti al saluto del guardaportone; e quello che fosse venuto difilato al caffè, sarebbe stato il nostro deputato. Uscirono due fattorini telegrafici, un prete con un ragazzo, una signora con un cane, un ufficiale con una signora. Un altro ufficiale si fermò a discorrere col guardaportone. In quella apparve un omaccione e si fermò sull’alto della gradinata a due passi da loro: era il deputato che la sera prima sedeva dalla signora Geltrude a capotavola e bestemmiava in bolognese. Ma lo avevo appena da quella distanza ravvisato, quando lo vidi dimenar le braccia contro quei due. Attraverso la piazza deserta giungevano fino a noi le sue grida. Accorsi. Egli rimproverava acerbamente l’ufficiale di picchetto e il guardaportone perchè non lo avevano salutato. Era congestionato e feroce:

— Vi farò punire. Il vostro dovere è di salutarmi. Io sono l’onorevole Pazzotti e devo essere salutato. Il guardaportone s’era levato il cappello. L’ufficiale s’era pazientemente messo sull’attenti e taceva. — Si levi il cappello, lei! Impari l’educazione! Si levi il cappello! S’era raccolta gente. Fuori dalle garitte le sentinelle guardavano l’ufficiale. Questi sillabò: — Io non ho cappello, signor deputato. —

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