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Al mio unico lettore che ancòra ha da nascere 13

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Ma adesso viene il punto più grave: spiegare cioè a questo lettore avvenire perchè io non mi sono rivolto con queste confidenze ai miei contemporanei, ma ho voluto proprio andare a disturbare i posteri e precisamente lui.

Semplicissimo: perchè io con questo foglio istituisco lui erede della mia curiosità: una curiosità che ormai prevedo di non potere purtroppo soddisfare da vivo e che nessuno dei contemporanei, per quanto più intelligenti, dotti, altolocati e potenti di me, potrà da vivo, se l’ha, veder soddisfatta.

Caro e unico lettore che, te beato, devi ancora nascere, ascoltami bene. Quando scoppiò la grande guerra, e più quando anche l’Italia si lanciò nell’incendio con la bella speranza di spegnerlo súbito, tutti dal presidente del Consiglio ai maestri elementari, assicuravano: — La guerra ci renderà tutti migliori —. Di diventar migliori v’era, ti giuro, tanto bisogno che anche io, a cinquantaquattr’anni finiti, mi misi a gridare evviva. Ormai di vedere un’umanità migliore avevo perduto ogni speranza, sebbene, per anni ed anni, assistendo e curando gl’infermi più poveri di questa cittaduzza, avessi cercato di lavorare anche io nel mio piccolo con purghe, pillole, cartine, clisteri e salassi, a tanto scopo. E adesso che capitava l’occasione, dovevamo lasciarla fuggire? Niente affatto. — Evviva la guerra, ad ogni costo! Si spenderanno miliardi e miliardi di lire, s’ammazzeranno e si stroncheranno milioni e milioni d’uomini. Che importa? Se alla fine gli uomini, e anche le

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