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ancóra tacevano. Ma le prime notizie erano giunte al sottoprefetto. I comunisti di Bologna avevano ucciso a revolverate un consigliere comunale nella sala stessa del Consiglio, un consigliere comunale mutilato di guerra, decorato, padre di famiglia, amato da tutti, dicevano. Dentro e fuori del caffè, i racconti, i commenti, le maledizioni, le profezie si moltiplicavano. Chi s’allontanava, camminava lesto per portare a casa la notizia, per cercare ancóra un crocchio d’amici al Circolo, o in un altro caffè, o in un altro ritrovo, cui comunicare súbito il racconto del delitto e la propria indignazione.

Il dottor Gorini lo telefonò all’ospedale, al medico di guardia che era un bolognese. A udire il campanello del telefono, altri pensarono di chiedere particolari alle città vicine, magari a Roma. E una voce circolava da un tavolino all’altro: – Domani, fuori le bandiere, a mezz’asta, pel lutto di Bologna. – Anche il capitano Tocci era lì con la moglie. Oramai i nobili suoceri s’erano riconciliati con lui e con quei benedetti concimi che fabbricava suo padre. Si diceva perfino che il vecchio conte Zatti-Cantelli interrogasse gli avvocati sul miglior modo di lasciare morendo il suo titolo al genero. Intanto era lì al caffè con sua figlia e col Tocci e, le due mani sul pomo della mazza, lanciava al cielo sguardi e sospiri udendo le notizie dell’eccidio; e descriveva Bologna a chi non la conosceva, ed anche a chi la conosceva. Delle bastonate al sindaco nessuno parlava. Tocci aveva raccontato degli applausi che avevano

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