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Era giorno di mercato, per l’ottavario di Sant’Andrea patrono della nostra città; e i contadini delle leghe rosse e di quelle bianche eran venuti con buoi, vacche, tori, vitelli, asini, porci, pecore, oche, polli e tacchini sul campo della fiera che è un prataccio rognoso tra le mura e il torrente, a destra dello stradale per la stazione, e che solo sotto le mura riceve il refrigerio d’un po’ d’ombra, anche per merito d’una dozzina d’olmi ruvidi e bitorzoluti, proprietà del Comune e perciò scapitozzati, da chi cápita prima, fino al tronco, con poche fogliacee polverose.
Dovendo visitare un vecchio sopra un’osteria in fondo al Borgo, andai prima a fare un giro per la fiera, in cerca di Matteo che pel suo mestiere soleva frequentare le processioni e i mercati, specie dal lato delle donne le quali nei mercati se ne restano accovacciate all’ombra, se non c’è altro, dei carri, presso il loro pollame. Matteo non lo trovai, ma udii molta gente parlare dei casi del giorno avanti; e i bianchi biasimare i rossi perchè volevano in Consiglio comunale crescere i dazii e le imposte come se gli elettori loro non fossero stati contadini dei quali molti pagano le imposte e tutti pagano i dazii; e i rossi disprezzare i bianchi perchè erano secondo loro tutte lepri che al primo calpestìo si rintanano, e narravano d’averne fatto il dì innanzi l’esperimento a Pieve San Bruno, che era un altro comunello comunista, dove in Consiglio s’era deciso, se i fascisti arrivavano, di suonare a distesa la campana del Municipio per far accorrere con forche e falci i contadini dai dintorni;