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insieme dette, scagliandosi avanti, uno strattone violento che uno dei due domatori perdettesi la corda mentre l’altro, tenendola a due mani e gridando e bestemmiando, non era buono più che a seguirlo, strisciando e pontando e rotolando nella polvere. Quelli attorno, e io pel primo, ci salvammo a gambe levate, ma eravamo appena al riparo dietro gli olmi che udimmo le donne sorprese da quelli urli e da quel trambusto gridare: – I fascisti! I fascisti! –, e l’urlo, dalle file delle donne, dei polli e delle oche, giunse ai vecchi con le pecore e agli uomini coi buoi. E fu in un baleno tutt’una fuga, i più abbandonando bestie e parenti, alcuni cercando di spingersi avanti a randellate i quadrupedi. Avevo appena raggiunto la porta che il campo già era deserto, e si vedevano branchi d’uomini e d’animali precipitare dalle ripe e attraversare il torrente sulla ghiaja senza curarsi del ponte, e altri di qua darsi ai campi, le donne con le vesti alzate a due mani per liberare le gambe. Solo il toro aveva imbroccata la gran strada della stazione, e su quel bianco trotterellava tranquillo accanto alla sua grand’ombra, voltandosi a guardare a destra e a sinistra in cerca d’un uomo tanto cortese da riprendere in mano quelle due corde che, non si sa mai, potevano impastojarlo e sconciarlo. – I fascisti! I fascisti! – La gente che faceva ressa sulla porta della città ripeteva l’annuncio, sconvolta, rossa, sudata, cercando di sboccare in Borgo; ma in Borgo già si chiudevano tutte le porte, e a me che m’affannavo a ripetere: – È stato un toro, un toro che è

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