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e operai, avessero il loro bel certificato del consolidato cinque per cento... Proprio, l’Italia consolidata.

S’udì per la salita il motore che arrancava in prima o in seconda velocità, e Nestore apparve al volante d’una macchina grigia che si fermò di colpo sull’aja: – Tre ore da Roma, – diceva al suo compagno: – Tre ore da Roma senza una panna, – e svitava il tappo sulla bocchetta del radiatore, felice che non ne uscisse nemmeno un alito di fumo. Alzò súbito un’ala del cofano e ci si ficcò sotto a guardare il motore, come se fosse salito a Poreta solo per una corsa di prova. Il suo compagno era l’onorevole Mastiotti, quello che l’anno prima era venuto a pranzo da me. Ma questa volta la moglie l’aveva lasciata a casa, sotto spirito. Anche il deputato tondo, giulivo e impolverato, appena m’ebbe stretto la mano, non s’occupò che della macchina; e a me e a Matteo che nel frattempo, rassicurato, s’era rimesso scarpe, giacca e colletto ed era disceso, la vantava, tenendoci la mano su come fanno i sensali al mercato con le bestie che ti vogliono far comprare: e com’era rapida e com’era agevole e com’era sicura. Nemmeno i suoi distintivi e targhette e spilline m’aveva l’anno prima lodate tanto. Alla fine, a Nestore che traeva la testa fuor dal cofano, io dissi per celia: — Nè io nè Matteo la si compra, puoi star certo. Così entrammo in casa, e Margherita ci promise

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