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Quando noi entrammo in guerra, mio figlio Nestore finiva il liceo. Aveva appena incominciato il suo primo anno di medicina che la sua classe fu chiamata sotto le armi. Nestore fu assegnato all’artiglieria e perciò diventò automobilista. Il nesso tra il cannone e l’automobile sfugge alla mia intelligenza antiquata e borghese. Gli chiesi se almeno nel suo autocarro trasportasse proiettili. No: per lo più trasportava grano, patate, tavole e pioli.
Fin da ragazzo egli è stato tanto sicuro di sè, tanto sagace e pronto a mutare tutto a vantaggio suo, e per queste qualità che io non ho mai possedute, sua madre l’ha sempre ammirato ed elogiato tanto che io devo confessare d’essermi sempre occupato poco di lui. Forse ho fatto male, prima di tutto perchè in qualche modo, a curarmene, avrei potuto correggerlo e mettergli in core un poco più di umanità, e poi perchè a seguirlo più assiduamente e attentamente avrei capito meglio, da vicino, il sorgere e il formarsi della nuova società che Nestore rappresenta, se non sbaglio, alla perfezione. Ma