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costretto dalla mia professione a correre tutto il dì la città e il sobborgo, affidandomi pel resto a mia moglie, sentendo sempre più questo distacco tra mio figlio e me, e d’altra parte sempre più convincendomi che Nestore con la sua ingegnosa destrezza si difendeva meglio che coi miei vecchi consigli, non mi posso in verità dar troppa colpa.
E poi il carattere e la condotta d’un uomo dipendono da certe native incapacità che l’educazione non può guarire; e ad obbligare, per esempio, chi nasce stonato a studiar canto, si fa infelice lui e chi l’ascolta. Come uno stonato non sente e non gode l’armonia, così Nestore non aveva, e non ha, il minimo sentore delle buone qualità del suo prossimo. Non gliene importano che i difetti. E quando li ha scoperti e se li è fissati bene nella memoria per trarne profitto, sembra felicissimo, e il suo potere, se l’ha, lo adopera súbito a soddisfarli: a soddisfarli, cioè, dico io, a incoraggiarli. La quale cattiva abitudine, per essere giusti, non può essergli venuta proprio da me medico? Io, per dovere professionale di diagnosi, mi sono tutta la vita occupato a trovare súbito i difetti fisici dei miei clienti; ed egli s’occupa invece a trovare i difetti morali della gente che gli si avvicina. Ma tant’è: l’occhio di mio figlio corre alle debolezze ed ai vizii come corre il mio. Nestore cominciò presto a parlare e tardi a leggere. A otto anni, per quanti sforzi facessimo tutti, egli si degnava di leggere solo le inutili