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illustrissimi i quali come lui sostenevano che l’anima, specie delle donne, si guarisce facilmente curando il corpo. Perciò era sereno quando mi parlava degli errori di sua moglie e, presosi di molta stima per me, m’assicurava scientificamente che, se io la guarivo dell’anemia e della malattia di stomaco, ella certamente sarebbe stata súbito guarita anche della sua infedeltà, con un vantaggio evidente, almeno per quanto tocca l’uomo morale, di lui marito. Il preside restò tre anni nella nostra città; io per tre anni curai meglio che potei l’anemia e la dispepsia di sua moglie; sua moglie ebbe, tanto come dispeptica quanto come infedele, degli alti e bassi, oso dire, che più rendevano convinto quello psicologo della bontà della sua teoria; egli non mi pagò mai nemmeno una visita: ma per compenso in quei tre anni mio figlio, tra esami ordinarii e di riparazione, estivi, autunnali e primaverili, riuscì con quell’ajuto onnipotente a liberarsi dal ginnasio inferiore.
Io ricorderò finchè viva, con riconoscenza ed ammirazione, quello psicologo indomabile. L’andavo a trovare per suo espresso desiderio verso sera quando avevo finito il giro delle mie visite e il declinare del giorno induce gli uomini stanchi alla mansuetudine. Ma sua moglie era sempre in ritardo: io e tutta la città sapevamo perchè ella era in ritardo. Arrivava stanca distratta profumata ed ansante, gli occhi larghi, i pomelli rossi, le labbra umide; qualche asola dei suoi stivaletti non aveva fatto in tempo a ritrovare il suo bottone, qualche uncinello della