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Solo mi sentivo anche in quest’angolo di provincia stringere e soffocare da questo macchinario universale sempre più vasto, preciso, vicino, implacabile. E la guerra, mi parve che ci dovesse liberare anche da questo tiranno o almeno dovesse allentarne la potenza, rimettendo d’un colpo in onore gli eroi e i santi i quali sconvolgono il mondo e lo riformano e lo governano con la potenza sola dell’intelligenza o dell’esempio. E Nestore, come ho detto, aspettavo che diventasse un eroe, modesto ma sincero. Il pericolo, il dovere, l’emulazione, i disagi, la fusione d’ogni egoismo nella fiamma del sacrificio, ecc. Tornò a casa a salutarci prima di partire per Udine. E, ahimè, era già automobilista.
Alla prima licenza s’era già imparato a mente le seguenti frasi: – Questa guerra non si sarebbe fatta senza il motore a scoppio. Il motore a scoppio è il re della guerra. Vincerà chi avrà più motori. – E in testa sul berretto e al braccio sulla manica recava l’immagine schematica d’una macchina che pareva d’oro. La croce dei nuovi crociati. Ma quel che disse e fece durante la guerra, era niente. Te l’ho detto, lettore mio. Io mi cullavo allora nell’illusione che il gran miracolo la guerra non poteva farlo súbito; che il miracolo l’avrebbe fatto la vittoria; tutt’al più l’avrebbe fatto, dopo il cataclisma, la pace ritrovata. Invece nella primavera del 1919 Nestore ci tornò a casa col suo congedo. Lo vedo come