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anche perchè ella allora già l’incoraggiava con applausi e consensi continui. Fino al giorno in cui sono partiti insieme per Roma, queste confidenze m’arrivavano in un secondo tempo, un poco accomodate, dalla bocca di Giacinta; e una m’è rimasta indimenticabile. Avendo io detto a Giacinta che avrei voluto che Nestore si fosse assicurato prima uno straccio di laurea, magari in legge se proprio gli seccava di studiare, e avendoglielo Giacinta ripetuto, egli le rispose con la sua solita precisione e concisione che “la vera laurea era la tessera del suo partito”.
Quelle confidenze lusingavano la vanità di mia moglie. Udir Nestore parlare, come se fosse tutta roba sua, delle tremende novità delle quali da tre anni rimbombano piazze e parlamenti, di macchine, scioperi, serrate, occupazioni, rivoluzioni, comunismo, comitati, congressi, bilanci, caroviveri, tabelle orarie, Russia, Ungheria, Vestfalia, Slesia, Ucraina, udirlo nominare i deputati più temuti e roventi come fossero suoi fratelli di latte, udirlo profetare con tanta fermezza e vedere alla fine che egli ferroviere indovinava l’avvenire più spesso del prefetto o del sindaco, udirgli ripetere, gesti e parole, i suoi bei successi oratorii alla Camera del Lavoro, alle riunioni “di categoria”, nei comizii al tal teatro o nella tale piazza, leggere almeno una volta al mese il suo nome nell’Avanti!, qualche volta perfino nei giornali borghesi, vederlo, così giovane, salutato e scappellato anche dagli avversarii, certo questo avrebbe voltato la testa anche