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su niente, e le ore e le miglia passavano, e arrivando m’ero riposato come se avessi dormito e sognato.
Questa volta la giostra fu fermata di colpo dal ricordo che io dovevo quell’onorevole offerta al mio figliolo socialista e ferroviere, e dal pensiero che certamente il sottoprefetto, introducendo un cavaliere della Corona d’Italia nella famiglia di lui, tentava di legare alla meglio questa famiglia alle sorti di quella corona. Non una parola del suo mellifluo discorso m’aveva provato che egli mi conoscesse per altro che per mio figlio. “Vecchio borghese con figlio rivoluzionario”: queste dovevano essere tutte le sue informazioni sul mio conto. Trentacinque, anzi trentasei anni di faticata professione, tre anni d’assistenza a malati e feriti di guerra: niente. Afferma Nestore: “La tessera del partito vale più del diploma di laurea”. Quando giunsi alla porta di casa, ero contento, anzi orgoglioso d’avere spartanamente rifiutato quell’onore. Ma a tavola, pel pranzo, trovai mio figlio che aveva ventiquattro ore non so se di riposo, turno, sciopero o convalescenza, e d’un tratto pensai che il sottoprefetto certo aveva interpretato il mio rifiuto come il primo segno della mia adesione alle idee politiche di Nestore. Questo poi no, no, e no. E perchè io ho sempre vissuto in aperta confidenza coi miei, provai a liberarmi un poco dai miei dubbii esternandoli: — Il sottoprefetto vuol farmi cavaliere, – annunciai.