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Tutti tacquero, tutti si volsero a guardarla, qualcuno perfino s’alzò, e mia moglie lanciò un piccolo grido. Nestore, raggiunto lo scopo, seguitò in tono minore, tranquillamente:

— ....Non mangia niente. Io me n’ero accorto, ma quella m’aveva risposto agra agra che era di stomaco debole. Viceversa beveva d’ogni vino, succhiandoselo a sorsellini che pareva le bruciassero le labbruzze vizze, e ad ogni sorso deponeva il bicchiere con un’aria di mai più, come se vi avesse trovato fiele e non moscato o trebbiano; poi lo riprendeva per altre due poppatine, un minuto dopo. Cinque o sei bicchieri aveva bevuto a quell’ora, ed era inutile che proprio io medico le stessi a domandare con che mai s’era indebolito lo stomaco. Ma all’interruzione di Nestore intervenne il marito magnanimo per spiegarci, alzando gli occhi con un sospirone, che la povera donna s’era rovinata lo stomaco a scuola con l’insegnare e col parlare, curva sulla cattedra per ore, giorni, mesi ed anni. Borghesi lerci, Governo ingrato. E fu tutt’un sospiro da un convitato all’altro. Lo stesso Filiberti, astioso ed incredulo com’era, sospirò, felice di sentire che anche quella era malata e senza speranza. Per fortuna venne il dolce: una crostata di mandorle e visciole che, prima della conversione di Nestore, Giacinta sfornava solo di natale e di pasqua come una cosa santa. — Un po’ di dolce préndilo, cara. Lascia la pasta che è indigesta e prendi la marmellata, – le consigliò il marito.

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