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vedute e dagli sterminati orizzonti; e, per esempio, detesto il mare e non capisco che gusto provino tante migliaja di persone ad andarselo ogni estate beate a guardare, e a restar lì per settimane ad udire quel suo eterno russare di gigante dormiglione e buono a nulla.

Di qui, ripeto, non vedo che l’orto perchè la finestra guarda a monte un vialetto erboso tra due siepi di rose d’ogni mese, con due cipressi neri al principio e due alla fine, proprio come nella vita poichè nascere è già morire un poco. Di là, i campi in pendìo, grano a destra, granturco a sinistra. Poi comincia la costa che sale alle cave di pietra, tutta d’olivi, tanto folti e tanto chiari che verso sera, a guardarli, hanno il colore stesso del cielo, più pallido. Ma appena mi sporgo dalla finestra, vedo il cielo vero più in alto oltre i monti turchini, e puro e bianco e fondo così che la terra sembra finire là dietro, in un precipizio: un piccolo mondo mio, insomma, del quale conosco ogni sentiero, ogni pietra, ogni albero, ogni essere, e che è ignoto ai più, anche ai miei amici. Margherita che, adesso vedova, è a capo della mia famigliola colonica, quindici o vent’anni fa era tanto bella e assomigliava tanto alla Madonna della Seggiola che (mi si perdoni l’irriverenza) gliene comprai per tre lire una grande oleografia e gliela feci appendere a capo del letto incorniciata da una bacchettina dorata. Avevo anch’io allora, si sa, quindici o vent’anni di meno. Ma, per la verità, Margherita ha sempre saputo onestamente distinguere tra i miei capricci d’uomo

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