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Poi, l’intervento: e cominciarono i nastrini, bianchi, rossi, verdi, azzurri, e, nei militari, le promozioni e, nei borghesi, le cariche. Poi, i nuovi ricchi: l’automobile più grossa, l’amante o la moglie più ingiojellata, il palazzo più storico, il quadro più di Raffaello, i tacchi più alti, il confessore (a costo anche d’una rapida abjura) più rinomato, le camicie (per le donne) più corte. Poi, la beneficenza: presidenti e presidentesse, capolista nelle sottoscrizioni, concerti negli ospedali, bandiere e gagliardetti pei reggimenti, due o tre feriti in automobile fasciati di fresco e molto fasciati, balli pro mutilati alle gambe: uno chèque, insomma, con la firma ben visibile deposto ai piedi di Gesù crocifisso, anzi infilato allo stesso chiodo insanguinato che gli trapassa i piedi. Poi, le elezioni: comitati, discorsi, i nomi sui muri, il voto di preferenza. Io, io, io! Un principio di salvezza è stato più tardi l’agente delle tasse, incomparabile maestro di modestia.
Sì, la vanità è stata sempre una legge fondamentale della vita umana più potente della fame e dell’amore. Gli stessi santi, per essere umili, hanno sperato sempre d’essere i più umili; e anche fra loro le medaglie d’argento hanno sempre un po’ sofferto di non essere medaglie d’oro, tanto che lo stesso Giobbe, nel fondo dell’umiliazione, gridava che a lui solo, a lui solo, Dio doveva ormai apparire e parlare senza veli. Se credessi negli spiriti, giurerei che le ombre dei morti sono le prime a rileggersi e a godersi ogni notte i loro veridici epitaffi, con eterna soddisfazione.