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Il lotto
203 in quale foggia acconciarla. Su un muro di qua, su uno di là, eccoti fuori un «casone», indi un «palazzo». In ogni sala, tappeti, grandi specchi, lumiere. Tintinnano i campanelli, accórrono i servitori, attàccansi i tiri-a-quattro. E, certe come si stanno le due amiche eli vìncere, possiedono veramente; han, dunque, tutti i piaceri della ricchezza senza i fastidi, tutta la smania del comperare e non il sazio di avere. Sono padrone di fondi e non pagano imposte nò al governo nè a Dio, sono padrone di casa e non temono incendi e non ladri; fanno spese stragrandi e il loro sacchetto pesa sempre lo stesso. Nò poi crediate che i disinganni settimanali le disturbino molto. — Pazienza! — esclama, rincasando, la magra. — A un’altra volta ! — ribadisce il grassone senza scomporsi. E lì, fatto un bel taccio sulla disdetta, si danno a cercare numeri di fisionomìa più bella. Ma qui odo certuni, di quella risma di gente, che, infistolita nel naso, sente la corruzione ogni dove, gridare « lungi da lui » me additando « è venduto ! » e odo del pari, altri, di que’ che fanno il mestier del filàntropo e dan masticata la scienza al «popolino», dire «non lo ascoltate, operai; ammucchiate. Volete vìncere il terno? mettete al lotto degli interessi composti». Ebbene! io ai primi rispondo, che «respiro del mio»; e dico a quegli altri, brave persone del resto, ch’essi ragionano troppo col mètodo dei matemàtici, cioè a màchina. Oltre le gambe, ci ha molto ancora nell’uomo, se pòvero principalmente, a tener su. E, una prima, « la speme ». Vale pure, mi sembra, per settimana, un cinquanta centesimi. dosi, Alberlo concliiu'le; ina io soggiungo, elle nel bozzelli) di lui, d’allru parie bellino, imincano due personaggi ; i due frequenlalori della portinarìa. Il primo, era un antico soldato, col faccione a grattugia, rosso come un salame, in grazia forse del collo strozzato da un cravattone c