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poesie. 297

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Se tu vai ’n Toga, non ti si conviene
  Il portar un vestito che sia frusto,
  186Altrimenti la cosa non va bene;
Perchè mostrando tutto quanto il fusto
  Della persona giù lunga e distesa,
  189Bisogna che tu faccia il bell’imbusto,
E così viene a raddoppiar la spesa;
  E questa a chi non ha molti quattrini
  192È una dura e faticosa impresa.
Non ci vuol tanti rasi od ermisini,
  Quando tu puoi portare il ferrajolo,
  195Basta aver buone scarpe e buon calzini.
Il resto, quando e’ sia di romagnolo,
  Non vuol dir nulla; sebben par che questa
  198Sia una sottigliezza da Spagnolo.
E non importa che tu ti rivesta,
  E che tu faccia differenza alcuna,
  201Che sia dì di lavoro o dì di festa.
Sia di nero o di bianco, tutt’è una;
  Tu non ha’ a mutar foggia a tutte l’ore,
  204Nè più nè manco come fa la Luna.
Se per disgrazia un povero Dottore
  Andasse in Toga, e fusse scompagnato,
  207Ci metterebbe quasi dell’onore;
E se non è da trenta accompagnato,
  Mi par sempre sentir dir le brigate:
  210Colui è un ignorante e smemorato.
Talchè sarebbe meglio il farsi frate;
  Che almanco vanno a coppie, e non a serque,
  213Come van gli spinaci e le granate.
Però chi dice lor: beati terque,
  Non dice ancor quanto si converrebbe,
  216E saria poco a dir terque, quaterque.

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