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Fu il sig.r Galileo di gioviale e giocondo aspetto, massime in sua vecchiezza, di corporatura quadrata, di giusta statura, di complessione per natura sanguigna, flemmatica et assai forte, ma per fatiche e travagli, sì dell'animo come del corpo, accidentalmente debilitata, onde spesso riducevasi in stato di languidezza. Fu esposto a molti mali accidenti et affetti ipocondriaci e più volte assalito da gravi e pericolose malattie, cagionate in gran parte da' continui disagi e vigilie nell'osservazioni celesti, per le quali bene spesso impiegava le notti intere. Fu travagliato per più di 48 anni della sua età, sino all'ultimo della vita, da acutissimi dolori e punture, che acerbamente lo molestavano nelle mutazioni de' tempi in diversi luoghi della persona, originate in lui dall'essersi ritrovato, insieme con due nobili amici suoi, ne' caldi ardentissimi d'una estate in una villa del contado di Padova, dove postisi a riposo in una stanza assai fresca, per fuggir l'ore più noiose del giorno, e quivi addormentatisi tutti, fu inavvertentemente da un servo aperta una finestra, per la quale solevasi, sol per delizia, sprigionare un perpetuo vento artifizioso, generato da moti e cadute d'acque che quivi appresso scorrevano. Questo vento, per esser fresco et umido di soverchio, trovando i corpi loro assai alleggeriti di vestimenti, nel tempo di due ore che riposarono, introdusse pian piano in loro così mala qualità per le membra, che svegliandosi, chi con torpedine e rigori per la vita e chi con dolori intensissimi nella testa e con altri accidenti, tutti caddero in gravissime infermità, per le quali uno de' compagni in pochi giorni se ne morì, l'altro perdé l'udito e non visse gran tempo, et il Sig.r Galileo ne cavò la sopradetta indisposizione, della quale mai poté liberarsi.

Non provò maggior sollievo nelle passioni dell'animo, né miglior preservativo della sanità, che nel godere dell'aria aperta; e perciò, dal suo ritorno di Padova, abitò quasi sempre

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