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386 DELL’ASINO D’ORO.

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CAPITOLO TERZO.

DIetro alle piante della mia duchessa
  Andando colle spalle volte al Cielo,
  3Tra quella turba d’animali spessa;
Or mi prendeva un caldo, ed ora un gelo;
  Or le braccia tremando mi cercava,
  6S’elle avevan cangiato pelle, o pelo.
Le mani, e le ginocchia io mi guastava;
  O voi, che andate alle volte carponi,
  9Per discrezion pensate, com’io stava.
Er’ito forse un’ora ginocchioni
  Tra quelle fiere, quando capitamo
  12In un fossato tra duo gran valloni.
Vedere innanzi a noi non potevamo,
  Però che il lume tutti ci abbagliava,
  15Di quella donna, che noi seguivamo.
Quando una voce udimmo, che fischiava
  Col rumor d’una porta, che s’aperse,
  18Di cui l’un, e l’altro uscio cigolava.
Come la vista, e ’l riguardar s’offerse,
  Dinanzi agli occhi nostri un gran palazzo
  21Di mirabile altura si scoperse.
Magnifico, e spazioso era lo spazzo;
  Ma bisognò, per arrivare a quello,
  24Di quel fossato passar l’acqua a guazzo.
Una trave faceva ponticello,
  Sopra cui sol passò la nostra scorta,
  27Non potendo le bestie andar sopr’ello.
Giunti che fummo a piè dell’altra porta,
  Pien d’affanno, e d’angoscia entrai drento,
  30Tra quella turba, ch’è peggio che morta.

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