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di fortuna. 417

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Non è nel mondo cosa alcuna eterna;
  Fortuna vuol così, che se ne abbella,
  123Acciocchè il suo poter più si discerna.
Però si vuol lei prender per sua stella;
  E quanto a noi è possibile, ognora
  126Accomodarsi al variar di quella.
Tutto quel Regno suo dentro, e di fuora
  Istoriato si vede, e dipinto
  129Di que’ trionfi, de’ qua’ più s’onora.
Nel primo loco colorato, e tinto
  Si vede, come già sotto l’Egitto
  132Il mondo stette soggiogato, e vinto;
E come lungamente il tenne vitto
  Con lunga pace, e come quivi fue
  135Ciò che di bel nella natura è scritto.
Veggonsi poi gli Assirj ascender sue
  Ad alto scettro, quand’ella non volse,
  138Che quel d’Egitto dominasse piue.
Poi come a’ Medi lieta si rivolse,
  Da’ Medi a’ Persi, e de’ Greci la chioma
  141Ornò di quell’onor, ch’a’ Persi tolse.
Quivi si vede Menfi, e Tebe doma,
  Babilon, Troja, e Cartagin con quelle,
  144Gerusalem, Atene, Sparta, e Roma,
Quivi si mostran, quanto furon belle,
  Alte, ricche, potenti e come alfine
  147Fortuna a’ lor nemici in preda dielle.
Quivi si veggon l’opre alte, e divine
  De l’Imperio Roman; poi come tutto
  150Il mondo infranse colle sue ruine.
Come un torrente rapido, che al tutto
  Superbo è fatto, ogni cosa fracassa
  153Dovunque aggiugne il suo corso per tutto;

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