Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
capitolo | 431 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Opere di Niccolò Machiavelli VI.djvu{{padleft:451|3|0]]
Sempre son le lor faccie orrende, e scure,
A guisa d’uom, che sbigottito ammiri
156Per nuovi danni, o subite paure.
Dovunche gli occhi tu rivolti, e giri,
Di lacrime la terra e sangue è pregna;
159E l’aria d’urli, singulti, e sospiri.
Se da altrui imparare alcun si sdegna,
Come si debba Ambizione usarla,
162Lo esempio tristo di costor lo ’nsegna.
Da poi che l’uom da sè non può cacciarla,
Debbe il giudizio, e l’intelletto sano
165Con ordine, e ferocia accompagnarla.
San Marco alle sue spese, e forse invano
Tardi conosce come li bisogna
168Tener la spada, e non il libro in mano.
Pur altrimenti di regnar s’agogna
Per la più parte; e quanto più s’acquista,
171Si perde prima, e con maggior vergogna,
Dunque se spesso qualche cosa è vista
Nascere impetuosa, ed importuna,
174Che il petto di ciascun turba, e contrista,
Non ne pigliare ammirazione alcuna;
Perchè del mondo la parte maggiore
177Si lascia governar dalla fortuna.
Lasso! or, che mentre nell’altrui dolore
Tengo or l’ingegno involto, e la parola,
180Sono oppressato dal maggior timore.
Io sento Ambizion con quella scuola,
Ch’al principio del mondo el Ciel sortille,
183Sopra de’ monti di Toscana vola;
E seminato ha già tante faville
Tra quelle genti sì d’invidia pregne,
186Ch’arderà le sue terre, e le sue ville,
Se grazia, o miglior ordin non la spegne.