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Mosca pareva più grande e più bella. Le sue cupole a mille colori, ammantate di neve diventavano più leggiere in quella bianchezza, che i sempreverdi dei parchi macchiavano di ombre fosche; le chiese sorgevano fantastiche di bellezza fra gli immensi palazzi e le strade larghe e ghiacciate come la Moskva, per la quale avrebbero potuto passare comodamente tutti i popoli dell’impero. Una cintura di conventi, pieni di boschi e di cimiteri, più vasti di un villaggio e difesi da muri alti come quelli delle fortezze, le stringeva i lombi, mentre il Kremlino, città, fortezza e convento, superbamente eretto, vigilava sovra essa da tutti i domi delle sue cappelle, dalle torri delle sue porte monumentali, dalla sua cinta di muraglioni merlati, dalle terrazze de’ suoi palagi, entro i quali si era svolta tutta la storia della Russia. E sul Kremlino, circonfusa nella luce di quel bianco, la croce saliva nel cielo trionfalmente.

Loris andò a mettersi dinanzi alla porta del ristorante costrutto sul posto, ove la leggenda racconta si fermasse Napoleone I, cinto da tutto lo stato maggiore, a contemplare Mosca la prima volta.

— Vedi, esclamò: vi hanno fabbricato un albergo, come a Roma sulla rupe Tarpea. Ecco il trionfo della modernità; i popoli della storia antica vi avrebbero alzato una piramide, quelli del medioevo un tempio, noi vi apriamo una locanda. Non si fanno più conquiste, non vi sono più che

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