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DI FRANCESCO REDI. | 27 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Osservazioni intorno alle vipere.djvu{{padleft:25|3|0]]uscire, fu il tosco fuor del corpo cacciato. E di qui io raccolgo, quanto possa giovare a quelli, che sono stati morsicati dalle Vipere lo scarificare secondo lo ’nsegnamento de gli antichi, il luogo, ch’è stato morso, per farne venire il sangue, o applicarvi sopra una coppetta, o attaccarvi una, o due mignatte ben purgate, o vero far succhiare da un’uomo la ferita. Ed osservate Signor Lorenzo, che Avicenna avvertì, che colui, che succhia tali ferite, non abbia i denti guasti, e tarlati, e prima d’Avicenna più giudiziosamente Cornelio Celso, ed Aezio ammonirono (ancorche il Severino ingannandosi giudichi frivola questa cautela) che non abbia ulcere, o piaghe nella bocca, perchè toccandole il succhiato veleno, potrebbe esser cagione di morte, che per altro ancor che nello stomaco andasse, ne alla sanità, ne alla vita sarebbe di pregiudizio; e questa non è mica dottrina nuova, ma bene antica, e dal suddetto Cornelio Celso insegnataci dicendo. Nam venenum serpentis, ut quædam etiam venatoria venena, quibus Galli præcipue utuntur, non gustu,