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1868) ne fu l’invontoro. Usata è la parola anche in senso traslato.

Calembour: giuoco di parole basato su la siniiglianza de’ suoni e varietá de’ sensi senza tener conto della ortografia. La lingua francese vi si presta a tal punto da formare un vero vizio di suoni uguali. Es: .1/. de Bievre ayant oppris qice le comédien Molé^ si connu par sa fatuité^ était retenu au Ut par une indisposition^ s’écria: Quelle fatalitó l {quel fai alité = quale sciocco a lettol). Nel secolo XVI dicevansi equivoques. Il nome Calembour difatti è recente e, come vi accenna pure il Littré, questa ne è data come origine: fu cioè il conte Kalenberg di Vestfalia, inviato ambasciatore a Parigi sotto Luigi XV, che ne fu l’involontario inventore. I parigini d’allora non comprendevano il tedesco — come non lo comprendono oggigiorno — e questo conte vesfaliano, per farsi capire era obbligato a parlare un francese cosi... tedesco da non si dire. Avveniva, quindi, che gli sfuggivano molte improprietá che ferivano le delicate orecchie dei parigini e fornivano materia a molti giuochi di parole ai quali si diede il nome di Kalenberg, degenerato poi in calembour. Disgraziatamente nessuno dei giuochi di parola del conte di Kalenberg ci fu conservato: eppure fu per questo che il nome dell’ambasciatore di Vestfalia passò ai posteri. In italiano calembour equivale press’a poco a freddura e bisticcio. La freddura, delizia delle scene popolari, non soltanto è volgaruccia, ma non ha il pregio dell’epigramma e dell’arguzia: tuttavia da Aristofane a Plauto, da Shakespeare al Balzac non fu sdegnata anche da nobili ingegni.

Calembouriste: è colui che ha facilitá a trovare questi doppi sensi, freddurista. Esempio di freddura: nel Ouerrin Meschino, giornale milanese, pieno talvolta di pungenti sali, a proposito dell’insurrezione Carlista in Ispagna, comparve uno scritto tutto basato su la seguente freddura: Nessuno parlava piú di Don Carlo: noi stessi eravamo li li per dimenticarlo^ eto.

Calende Greche: Vedi ad Calendas Oraecas.

Calendimaggio: è l’antica festa italica e non semplicemente toscana, ohe canta il maggio {calendae^ il primo dí del mese presso i Romani)

Ben venga maggio e ’1 gonfalon selvaggio !

Costumavasi piantar davanti alla porta dell’innamorata la rama fiorita. Vedi il Leopardi nelle Ricordanze ove parla di Nerina:

Se torna maggio, e ramoscelli e fiori van gli amanti recando alle fanciulle....

Costume gentile oramai spento, benché io ricordi di avere nella mia puerizia (nò è gran tempo) inteso ne’ borghi di Romagna donne del popolo che con cembali andavano cantando:

L’è venuto maggio Ben venga maggio.

Vive la parola calendimaggio in virtú di certa grazia estetica del suono, e per effetto di questa rifioritura artificiosa dell’antico nell’arte.

Calicot: V. Percale.

Calesse: V. Cáleche.

Cálinerie: in francese vale mome, c«rezze^ lexiosaggini; e cálin e caline dicesi di persona piena di moine e di svenevolezze.

Calisvar: voce usata dai meccanici: è un utensile d’acciaio, di forma cilindrica tronco-conica, la cui superficie è scanalata in guisa da presentare tante costole taglienti. Lo si adopera per allargare, lisciare i fori comunque fatti nelle lamiere, ecc. Non conosco l’origine della parola, né posso asserire che sia voce puramente dialettale. In tedesco Reibahle; in inglese Rimer. Non so esattamente quale sia la corrispondente francese {Mandrin ?) In italiano allargatoio ?

Calle: (lat. callis) voce classica, viva tuttora nel dialetto veneto, e serve ad indicare le caratteristiche vie di Venezia (finché non ci correrá il tranvai!).

Callifugo: voce aggiunta a’ rimedi che vantano la guarigione dei calli, coniata come febbrifugo, {lí miglior callifugo sono le scarpe larghe e ben fatto).

Calligrafia: è parola greca che significa bella scrittura e perciò dicendo brutta calligrafia si comporrebbe un modo improprio ed illogico. Ma è dell’uso: la parola cai-

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