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parola locale perche dimostra come il popolo sappia creare i propri vocaboli senza ricorrere a voci straniere. Don CleiUo zz: presso a poco a lion, gommeux etc.
Don Giovanni: dicesi familiarmente di audace, fortunato e spregiudicato conquistatore di donne: dalla nota leggenda spagnuola del 14*^ sec. dello scapestrato Don Juan Tenorio, immortalata da scrittori e musici.
Donna allegra: o ragax.r„a allegra^ e piú frequentemente al diminutivo, donnina^ dicesi di femmina di facili e liberi costumi, tale per elezione di vita.
Donna Fabia (Fabron de’ Fabrian): è il tipo stupendo della vecchia stupida dama aristocratica, comicamente immortalata nella Preghiera di Carlo Porta, il grande poeta meneghino. Donna Fabia cosí ringrazia il buon Gesú:
]\Iio caro e buon Gesú, che per decreto
Deir in fallibil vostra volontá
M’avete fatta nascere nel ceto
Distinto della prima nobiltá,
Mentre poteva, a un minim cenno vostro
Nascer plebea, un verme vile, un mostro,
Io vi ringrazio che d’un sí gran bene Abbia ricolma l’umil mia persona.
Secondo il Barbiera nel suo libro «La l)rincipessa Belgiojoso», il Porta avrebbe tolto il modello di cotesta dama da una marchesa di casa Trivulzio, di nome donna Margherita, la quale viveva appunto in quel tempo del Porta. «Signora marchesa, infine tutti siamo vermi», le diceva il curato della chiesa di S. Alessandro per temperare la albagía di lei ; cui ella rispondeva: «Sí, sono un verme, ma Trivulzio !». 11 nome, almeno in Milano, ha valore estensivo e però qui è citato.
Donnée: voce francese, ed indica l’argomento, il soggetto e con precisa parola latina la favola di un dramma, di un romanzo, etc. La gente di mondo usa spesso quella parola.
Doni: gen. invariabile del pronome relativo francese, dal latino deunde^ italiano donde^ di cui. Nel linguaggio di Borsa significa il premio che si deve pagare al venditore quando non si creda piú opportuno eseguire un contratto antecedentemente stipulato [di cui è premio, etcí.
Dopo tutto: è proprio Vaprès tout francese: i modi nostri sono: in fine, alla fin fine., alla, fin dei conti, -po’ poi, in conclusione, da ultimo, ioisomma, etc. Il Tommaseo e il Eigutini hanno ragione da vendere quando condannano dopo tutto: i buoni scrittori lo evitano e dopo tutto questa locuzione appartiene al numero di quei modi di dire che si sono radicati nell’uso e toglierli vorrebbe dire non saper piú come parlare, o far come i bimbi quando stabiliscono il giuoco di pronunciar parole con la esclusione di determinate lettere.
Doppiare: in marina significa passare a breve distanza, descrivendo un mezzo giro, dall’una all’altra parte di un capo, di una punta o di un’isola. Quando si passa in linea retta dicesi montare. Questo senso del verbo doppiare ci deve essere provenuto dal fr. doubler = passer outre, laisser de l’arrière. Doubler un cap, un rocker.
Doppietta: fucile a duo canne, schioppa.
Doppione: da doppio: due opere usuali di una stessa edizione formano un doppione. Doppione, con uso recente, diconsi due parole che non variano se non per (jualche particolaritá grafica, non per il senso, indicando la cosa istessa. Es. incivilire e civili%,7iare. La lingua italiana oltre che di sinonimi difficili a bene usare, è ricchissima di doppioni, in molti casi appunto perchè la parola straniera tendo a prevalere su la uguale parola buona italiana. Della natura del doppione cosí rettamente ragiona l’abate Romanelli, op. cit. «talvolta questi doppioni sono grafíe diverse, allotropie, cioè varianti fonetiche e morfologiche leggiere; che alcune, ormai stantíe e dialettali, vanno scomparendo ogni giorno, e quindi soltanto possono riuscire incomode ai dilettanti ; e che^ finalmente, ci son degli oggetti della natura e dell’arte, particolari e locali, che possono essere anche un po’ diversi nella materia e nella forma, i quali non sono físsi né si posson fissare nella nostra, come forse in nessuna lingua viva. Eccone una lista: Abbadia, badia; brace, brage^ bragia; briciolo, briciola; ciarpame, ciarpurne; codesto, cotesto; danari, denari;