< Pagina:Panzini - Dizionario moderno.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

Alfredo Fanzini

Questo potrá fare il purista, il letterato, il grammatico, gli altri no: chi trova un ponte, non gira il corso del fiume per trovare un guado. • L’evidenza porta ad accogliere la seguente legge, cioè che non si può sacrificare una parte anche minima di pensiero alla puritá del linguaggio, tanto è vero che la reale bellezza di un linguaggio è il pensiero che vi risplende. Chi diversamente stabilisse, si dovrebbe adattare a vedere la sua legge violata, e nessuna cosa è più goffa ed imbelle che stabilire norme che ben si sa che saranno infrante.

La necessitá insegna la legge, la quale è buona appunto perchè necessaria. Giá tant’è: queste parole sono accolte nel fatto. Capisco: l’italiano a cagione della compiutezza vocale delle sue parole si presta meno bene del francese ad inserire e fondere nel suo organismo voci di altre lingue: di questa difficoltá è prova il fatto che gli scrittori piú trasandati hanno verso queste parole una specie di riguardo istintivo, e le ricoprono col carattere corsivo, cosí che se le parole fossero toppe, molte pagine di prosa darebbero sembianze di abiti rattoppati. Dunque? Dunque io penso che è inutile opporsi all’accettazione tanto dei cosí detti barbarismi e gallicismi come delle nude voci straniere, giacché la loro forza è maggiore. E né meno penso che per questo soltanto la lingua italiana vada in rovina.

«Ma — domanderá alcuno — accogliendo e barbarismi e anche le voci prettamente straniere, entro quali limiti ci comporteremo?». Questo io non so, né mi sembra che alcun areopago di grammatici possa ciò stabilire. La discrezione e il limite potrebbero essere dati dalla necessitá, ma piú da un nobile senso individuale di italianitá, per cui l’uso, quando è inutile, di parole straniere dovrebbe ripugnare come ad una persona pulita ributta il compiere un atto sudicio, anche se essa è sola e non vista. «Termini incertissimi !» Lo so, ma di piú veramente sicuri non ne conosco.

«E — potrebbe domandare alcuno — l’opera della scuola perchè l’omettete?» Un sentimento di riserbo mi consiglia di tacere le ragioni per cui io non ho fede nell’azione della scuola italiana in difesa dell’italianitá. Ma che dico ? Che bisogno ci sarebbe di difesa? Basterebbe far conoscere ed amare questa italianitá mirabile, e la miglior difesa starebbe in quella conoscenza e in quell’amore! La nostra scuola — tranne poche eccezioni dovute esclusivamente all’opera spontanea di qualche insegnante — svolge dei variabili programmi ministeriali, caleidoscopio di imparaticci, ut impleatur scriptura. E l’insegnamento della storia letteraria, ridotta ad una specie di catechismo: che l’arte sicula è proven-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.