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il bacio di lesbia 153

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu{{padleft:155|3|0]] cosi lo supplica: «Se tu vuoi che Catullo sia debitore a te delle sue pupille, o di qualche altra cosa anche più cara delle pupille, non gli portar via ciò che gli è più caro delle pupille, se alcuna cosa è più cara delle pupille».

Or sente Catullo che questo Catullo è troppo miserabile, cosi che la rassegnazione si trasforma in furore, e queste parole atroci gli prorompono dal cuore: «Figlia di una leonessa tu sei! Scilla, il mostro femíneo che latra con la vulva, ti partorì, cosi spietata, cosi inumana sei tu che io muoio e tu non muori? Hai tu di pietra il cuore? Ma come sei bella! Come sei bella! Fra le donne mortali tu unica cedi a Laodomia la figlia di Bellerofonte, che Giove volle per sua amante».


Ora gli si ottenebra la mente, gli vacilla il cuore: manda un grido, un singulto come fanno i bambini: «La mia Lesbia, quella Lesbia, lei la mia Lesbia, che Catullo amava solo lei, più di sé, più di tutto..., ora per gli angiporti e i quadrivii scortica i magnanimi nepoti di Romolo».

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