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il bacio di lesbia 189

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu{{padleft:191|3|0]] trapassata, sia pure per un momento, nell’anima di Catullo, si che l’arte pareva vita.

La solenne lingua di Ennio si trasmutava quasi in nuovo linguaggio, e tanto più questa poesia fece impressione fra i giovani poeti di Roma in quanto Catullo era noto per quelle lepidezze brevi e amare; e qui invece era un gran canto.

Siamo in riva dell’Oceano con visione di cose infinite.

Il principio del canto di Attis, è questo:

«Sopra il tempestoso mare l’infelice Attis era con veloce nave arrivato dove, fra le nevi, il monte Ida con la sua selva si eleva. L’immensa passione trasporta il piede veloce di lui nella nera selva dove ha suo regno la Dea Cibele: pazzia e furore si lo accendono che con una affilata selce strappa da sé il peso dell’inguine. E come vide le sanguinanti sue carni a terra e sé non più uomo, trascorrendo e sanguinando il piano del suo sangue, con mani già improvvisamente da virili fatte feminee, afferra furibondo i leggeri timpani dei tuoi sacri misteri, o Cibele, madre; e canta: Tutti venite alle alte selve, o Coribanti!».


Quando fu divulgato in Roma il canto di Attis, se ne fece un gran parlare.

Quell’anima onesta di Cicerone era preso

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